di Davide Fantino
Il sito del Ministero della salute italiano ha pubblicato i dati emersi da un’indagine realizzata in collaborazione tra l’Università degli Studi di Genova e l’Ospedale Gaslini del capoluogo ligure che ha analizzato gli effetti del lockdown sulla popolazione in età pediatrica. “L’isolamento a casa durante l’emergenza da nuovo coronavirus – si legge nella relazione - ha causato l’insorgenza di problematiche comportamentali e sintomi di regressione nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore di 6 anni (fino a 18)”. Tra i disturbi più frequentemente evidenziati vi sono l’aumento dell’irritabilità, i disturbi del sonno e i disturbi d’ansia.
Del periodo in cui siamo rimasti confinati in casa, le conseguenze per i figli - a parte il focus speciale della DaD (didattica a distanza) - sono tra le eredità più delicate per il dopo. L’emergenza legata al Covid-19 ha cambiato in profondità le abitudini delle famiglie italiane. Con le scuole chiuse, si legge sempre sul sito del Ministero, “c’è stato più tempo per stare insieme, un’occasione per dedicare più tempo ai propri figli e approfittarne per migliorare le abitudini alimentari".
L’invito è di continuare a ritagliarsi momenti insieme salutari da diversi punti di vista: “Insegnare ai bambini e ai ragazzi a cucinare, coinvolgendoli nell’organizzazione e nella preparazione dei pasti, li può aiutare ad apprezzare i vari alimenti, conoscerne il valore nutritivo e la varietà, scoprire nuovi sapori e acquisire sane abitudini alimentari, fondamentali per la crescita e la salute lungo tutto l’arco della vita”.
Un altro tema molto attuale è la possibilità di contagio tra bambini e giovani sotto i 20 anni. I risultati di una ricerca pubblicata su Nature Medicine nel giugno scorso hanno permesso di sviluppare modelli di trasmissione del Covid-19 sulla base di dati provenienti da sei Paesi, tra cui l’Italia. Ne è emerso che gli Under20, “oltre ad essere molto spesso asintomatici, si stima che abbiano una suscettibilità all'infezione pari a circa la metà rispetto a chi ha più di 20 anni”. Questo ridurrebbe la possibilità per loro di contrarre l’infezione a contatto con una persona infettiva e, quindi, i casi tra i bambini.
Questo significa che i bambini sono meno responsabili del contagio del virus rispetto al resto della popolazione? Come sottolineato dal sito dell’Organizzazione mondiale della Sanità, il ruolo dei bambini nella trasmissione non è stato ancora completamente compreso. In una risposta presente sul sito dell’OMS e aggiornata al 17 settembre, si legge che “ad oggi, sono stati segnalati pochi focolai che hanno coinvolto bambini o scuole. Tuttavia, il numero limitato di focolai segnalati fino ad oggi tra il personale docente o associato suggerisce che la diffusione del Covid-19 all'interno delle strutture educative può essere limitata.
Gli effetti a lungo termine del mantenimento delle scuole aperte sulla trasmissione comunitaria devono ancora essere valutati”. Sono in corso da parte della stessa organizzazione ulteriori studi sul ruolo dei bambini nella trasmissione all'interno e all'esterno dei contesti educativi, in collaborazione con scienziati di tutto il mondo. L’obiettivo è di sviluppare protocolli che i Paesi possano poi utilizzare all’interno delle istituzioni educative.
Altro problema da affrontare per le famiglie adesso che ci inoltriamo nell’autunno, con i classici malanni di stagione: come distinguere una normale influenza Covid-19? Se lo sono chiesti anche i pediatri del Children's National Hospital di Washington che hanno pubblicato in settembre uno studio di coorte che ha coinvolto 315 bambini toccati dal virus nel periodo tra marzo e maggio 2020 e 1402 bambini con una normale influenza stagionale sviluppata tra ottobre 2019 e giugno 2020.
Il primo dato emerso è che non si riscontravano significative differenze a livello statistico nei tassi di ospedalizzazione nei due gruppi, così come per il ricovero nelle unità di terapia intensiva e nell’uso del ventilatore meccanico. Però, secondo quanto pubblicato su JAMA, il Journal of American Medical Association, sintomi come mal di testa (11% vs 9%), dolori muscolari o dolore toracico (22% vs 7%), febbre, diarrea o vomito (26% contro il 12%), erano più frequenti tra i pazienti con Covid-19. Proprio la febbre è riconosciuta da parte degli studiosi di ogni parte del mondo come l’indicatore più frequente della presenza del virus e per questo il suo monitoraggio quotidiano è tanto importante per il contenimento dei contagi. Ne sanno qualcosa i genitori che certificano tutte le mattine la sua misurazione sul diario di classe.
E a proposito del ritorno a scuola, Save the Children ha stilato un breve vademecum in sette punti per facilitare il rientro a scuola dei ragazzi. È importante ascoltare, per stimolare “la condivisione delle attività scolastiche, il racconto di esperienze nuove, positive e divertenti che vivranno a scuola”, così come collaborare, per “trasmettere messaggi coerenti in linea con quelli di dirigenti insegnanti e personale scolastico (...) nel rispetto delle regole comuni”. Occorre fare squadra, “con gli altri genitori e sostenere famiglie e bambini che mostrano particolari difficoltà, e fornire informazioni semplici e chiare, cercando di non creare confusione e dire la verità nel modo più semplice”.
È altrettanto utile “approfondire le regole da rispettare a scuola sul Coronavirus” e, nel caso di contagi, non discriminare chi rimane contagiato. “I genitori e gli adulti di riferimento sono l’esempio più prossimo da seguire per i bambini, è dunque fondamentale evitare comportamenti o affermazioni discriminatorie verso eventuali compagni di scuola contagiati”. Infine, Save the Children suggerisce di “mettere in atto piccoli gesti che possono fare la differenza. Quello che stiamo vivendo è un clima piuttosto teso, è importantissimo quindi trovare modalità nuove e divertenti per invogliare i bambini a rendere abituali i piccoli gesti di prevenzione senza stress”.
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