Irene Ferri, quelle istantanee d’Italia che ci ricordano chi siamo

di Davide Fantino

“ITALIA” è l’ultimo progetto “personale-collettivo” sull’italianità di Irene Ferri, fotografa di viaggio e ritratto, content creator e visual strategist internazionale, con una formazione tra Milano e Los Angeles.

Scelta da Nikon tra i giovani talenti fotografici del progetto Nikon Creators, è anche docente di fotografia e visual storytelling.

Per “ITALIA”, gli utenti sono chiamati a inviarle il proprio racconto sul motivo per cui amano il nostro Paese. Irene Ferri ha intrapreso da mesi un lungo viaggio lungo la Penisola per trasformare in immagini le parole degli italiani. Le foto più significative e le frasi più belle saranno raccolte in una mostra finale e un libro. Il progetto parte dal desiderio di lanciare una sfida alla negatività e alla rabbia atavica che ci caratterizzano, soprattutto online.

Che cosa vuol dire per lei “Italia”?
«Tante cose. Sicuramente il rumore delle tazzine nei bar la mattina. La certezza che troverò sempre un poster di Moira Orfei (o famiglia) sotto ogni ponte. L’ascoltare rap italiano ovunque nel mondo e sentirmi sempre a casa. L’orgoglio di parlare la lingua più musicale del mondo, la lingua che ha inventato “spaghetti” ma anche “forse perché della fatal quiete tu sei l’imago a me sì cara vieni o sera».

Che cosa ha imparato dalle risposte che ha ricevuto?
«Ho scoperto una cosa che già intuivo: che siamo terribilmente fortunati ad essere nati qui. Ho trovato un attaccamento alla famiglia incredibile, soprattutto ai nonni. Moltissime persone mi hanno scritto che per loro l’Italia sono i nonni - che preparano la passata di pomodoro, che fumano una Merit in cucina, che “ti vedono sciupato”, che si siedono fuori in strada la sera per chiacchierare con i vicini al fresco. Ho imparato che siamo la nazione del sacro che incontra il profano, dell’Arbre Magique appeso con il rosario in macchina, del Padre Pio sul tavolino assieme a Novella 2000».

Che idea si è fatta degli stati Uniti negli anni in cui ci ha vissuto?
«Per citare Francesco Costa, “dubitate di chi sugli Stati Uniti ha più risposte che domande”. Ho quindi avuto un’ottima impressione da un lato, complessa dall’altro. Tra i lati positivi ho trovato sicuramente l’infinito senso di possibilità, in termini di crescita personale e di carriera, che si percepisce a Los Angeles. L’American dream è vero e tangibile. Puoi non possedere niente e arrivare ad avere un business di successo in un anno, l’ho visto succedere anche a mie amiche. Io adoro Los Angeles e credo mi abbia formata profondamente come persona e come donna. Difficili invece sono la
situazione sanitaria (se non hai un’assicurazione la vita diventa davvero molto complessa), il razzismo sistemico, il costo della vita altissimo».

Cross fit, yoga, fitness: lo sport aiuta ad avere disciplina anche sul lavoro?

«Assolutamente sì. Io sono un’ex personal trainer ma mi sento estremamente arricchita dal percorso che ho fatto nel mondo del fitness. Determinazione, disciplina, autocontrollo. L’innamorarsi del percorso quanto del risultato. Lo sport mi ha insegnato ad arrivare sempre “fino all’ultima ripetizione” che, come diceva Schwarzenegger, è quella che fa la differenza tra un campione e un atleta ordinario».

Lei è anche docente: nella fotografia quanto conta il talento e quanto lo studio e l’applicazione?
«Come dice Maurizio Cattelan, artisti nonsinasceosidiventa,“artistisesiè fortunati si muore”. Io credo che la nostra intera vita sia un’incredibile opportunità di auto-esplorazione di sé. Ai miei studenti dico sempre di non andare nel panico: ognuno di noi ha dentro un piccolo artista. Bisogna avere la volontà di ascoltarlo e fargli creare cose. Hard work beats talent when talent doesn’t work hard».

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