Effetto Olimpico
A distanza di dieci anni dai Giochi Olimpici invernali del 2006, Torino ricorda quello che fu un momento speciale per la città, un'occasione per mostrare al mondo le sue bellezze fino ad allora tenute un po' nascoste
Dieci anni fa, tutti avevano un'opinione in merito a quel che sarebbe successo di lì a poco. C'era chi considerava le Olimpiadi invernali l'evento del secolo per Torino e già da mesi andava in giro con la giacca grigia, rossa e arancio in dotazione ai volontari. C'erano i detrattori, quelli che facevano i conti e scoprivano che non tornavano e che queste Olimpiadi sarebbero costate troppo alla città e ai cittadini. Si aspettava la svolta, consapevoli che le luci, per un paio di settimane, si sarebbero illuminate sulla città. Ma si era incerti sul futuro. Sarebbe durato? Avrebbe portato giovamento? Lo sforzo sarebbe servito? Torino poteva farcela a diventare una nuova capitale italiana del turismo? A distanza di dieci anni, la risposta a tutte queste domande forse ce l'abbiamo. Ma dieci anni fa era anche l'incertezza sul risultato che contribuiva a creare quell'atmosfera adrenalinica, unica. C'era fermento, nelle piazze torinesi. Spuntavano “case” ovunque, pronte a ospitare le delegazioni di ogni Paese, con la loro corte di tradizioni e festeggiamenti annesse. C'erano star, mai viste e sentite prima in così grande numero in città. C'erano sport nuovi – chi aveva mai sentito prima parlare del curling, prima del 2006? - e vecchie passioni che i torinesi da sempre portano con sé, come lo sci. C'erano notti intere, bianche perché illuminate dalle luci, e la gente che affollava le vie. C'era la volontà di rendersi utili, di essere partecipi, di gustarsi un pezzettino di quel momento perché, quando finalmente iniziò, anche i detrattori capirono che avrebbe fatto parte della Storia della loro città. Torino venne invasa. Di gente, di atleti, di colori, di musica, di festeggiamenti, di strutture nuove – permanenti e provvisorie. Torino, la città che, anche per una sua scelta di riservatezza, fino ad allora era sempre rimasta ad osservare il mondo stando leggermente dietro le quinte, si tirava a lucido per accogliere quell'invasione. Puliva strade, costruiva palazzetti, erigeva un gigantesco arco rosso in onore ai cerchi olimpici, accendeva d'un fuoco perpetuo una gigantesca fiaccola, inaugurava metropolitane, illuminava ponti. Ecco, quei ponti sul Po illuminati di luci colorate, come se Torino fosse Praga, erano il segnale che qualcosa stava davvero cambiando. Che la città si stava riscoprendo e i torinesi stavano accettando di aprire le porte di casa loro ai turisti di tutto il mondo, fieri di sentirsi dire quanto fosse meraviglioso il loro salotto. Prego, benvenuti, lasciamo le luci accese apposta per voi. Perché i Torinesi sono sì riservati, ma anche ospitali. Da quel 2006, in qualche modo, le luci dei ponti torinesi sul fiume Po sono non si sono mai spente. In quel 2006, Torino fu una festa continua. Una festa che, a distanza di dieci anni, si è ripetuta, per ricordare quello che – in effetti – è stato l'inizio di una nuova era per la città.
LA FESTA PER IL DECENNALE
Dal 25 al 27 febbraio, Torino ha celebrato il decennale da quelle Olimpiadi Invernali del 2006 che l'hanno mostrata nella sua bellezza a tutto il mondo. Ritrovi di volontari, musica, parate e – naturalmente – una notte bianca, così come fu allora, con musei ed esercizi commerciali aperti fino a tardi. A definire il significato di queste celebrazioni, è stato il sindaco Piero Fassino: «Un compleanno, certo. Un modo per rivivere l’emozione, certo. Una retrospettiva dei successi, anche», ha dichiarato. «Ma l’idea di festeggiare il decennale olimpico, e di rievocare lo straordinario periodo – tanto breve quanto coinvolgente – delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 è anche e soprattutto un modo per guardare avanti. Ricordando la strada che portò alla cerimonia inaugurale del 10 febbraio, con le sue incertezze, la fatica, gli scetticismi che costellarono gli anni precedenti. Guardando alla capacità, così radicata e antica in questa Città, di fare le cose per bene e al meglio possibile, in un accordo non scritto e silenzioso capace sempre di unire, anche nelle differenze». Il sindaco Fassino non ha perso l'occasione di ricordare con orgoglio quanto sia cresciuta da allora la città: «Non è un caso, se ci pensiamo, che la città in cui “non succedeva mai niente” sia oggi indicata dal New York Times come unica meta italiana da non perdere nel 2016».
TORINO 2006: I PROTAGONISTI
«Ricordo bene quella emozione, ricordo la sensazione di orgoglio, ricordo l’entusiasmo contagioso che ci portammo dentro e addosso per tutto il periodo pre olimpico». Se Torino ha vissuto il periodo delle Olimpiadi Invernali 2006, il merito è anche di Valentino Castellani, che nel 1997 prese la decisione di candidare la città e che fu poi presidente del Toroc (TORino Organising Committee, ovvero Comitato per l'Organizzazione dei XX Giochi Olimpici Invernali Torino 2006). «Sono tra i fortunati che hanno vissuto questa avventura faticosa e non facile dal primo momento, quello della decisione iniziale, fino alle ultime gare delle Paralimpiadi, il 19 marzo del 2006. Il tratto più significativo di questa lunga esperienza che voglio sottolineare è il grande lavoro di squadra che abbiamo messo in campo e che è stato la chiave del successo. Abbiamo fatto squadra tra le istituzioni locali, le autorità nazionali, sia politiche che sportive, e con tutto il territorio olimpico», ha dichiarato Castellani. Giuseppe Gattino, invece, del Toroc era capo ufficio stampa: «Esserci stato dal primo istante e aver lavorato sia per la candidatura che per l’organizzazione dei Giochi, assomiglia a un privilegio, a un sogno diventato realtà, che al tempo in cui cominciò quell’avventura non si sarebbe potuto immaginare», racconta. «Organizzare i Giochi Olimpici, e – nel mio caso – comunicarli, fu un’esperienza straordinaria. Si misero in moto energie nuove e fino a quel momento imprevedibili. Una città sinonimo di grigiore e declino divenne luogo di attrazione di migliaia di persone, per lo più giovani, provenienti da ogni parte del mondo. Persone – e tra queste includo i circa 26.000 volontari – tenute insieme dalla voglia di vivere un’esperienza unica e per molti irripetibile».Luca Rolandi dieci anni fa era il responsabile dei contenuti del sito www.torino2006.org. Oggi, insieme a Loris Gherra (e con il contributo degli studenti del Master di giornalismo Giorgio Bocca), ha pubblicato il libro “Quelli che costruirono i Giochi. Un racconto inedito di Torino 2006”, che raccoglie ventisette testimonianze di coloro che lavorarono da vicino alle Olimpiadi di Torino, oltre che l'elenco dei nomi di tutti i dipendenti, consulenti e collaboratori del TOROC, dei dipendenti e collaboratori dell’Agenzia Torino 2006 e dei volontari dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Torino 2006. «Torino 2006 è stato vero e proprio punto di non ritorno per la storia della capitale sabauda e di buona parte del Piemonte.», racconta Luca Rolandi, «A quell’evento presero parte, da un punto di vista organizzativo, quasi trentamila persone, tra professionisti e volontari. Un vero e proprio esercito che portò a termine in modo brillante un progetto complicatissimo in diretta mondiale. Il volume è un modo per dire grazie, dieci anni dopo, a tutti coloro che hanno costruito un sogno condiviso».
Torino 2006: cosa è rimasto alla città
Non tutti gli impianti di Torino 2006 hanno avuto ugual fortuna, ma molte sono le cose che quell'evento ha lasciato in eredità alla città. L'arco olimpico, innanzitutto, realizzato per unire il villaggio olimpico con il Lingotto attraverso una passerella di 400 metri. In effetti, i 69 metri di altezza dell'arco rosso sono diventati uno dei simboli della città. C'è poi il Pala Alpitour, conosciuto fino a poco tempo fa con il nome del suo ideatore, l'architetto giapponese Arata Isozaki. Sede di concerti, eventi sportivi e non solo, con i suoi oltre 14mila posti a sedere è la più capiente struttura coperta d'Italia a uso sportivo. Lì accanto, lo Stadio Olimpico, che fu rimesso a nuovo proprio per i giochi del 2006 e che ebbe l'onore di ospitare la cerimonia di apertura, il 10 febbraio 2006. C'è anche l'Oval Lingotto, lo stadio costruito per ospitare le gare di pattinaggio di velocità. Capace di contenere 8500 spettatoti, viene oggi per lo più utilizzato come spazio fieristico. E la metropolitana? In fondo, la linea 1 è figlia di quel periodo, inaugurata pochi giorni prima dell'inaugurazione dei Giochi. Infine, se vi state chiedendo preoccupati che fine abbiano fatto le gigantesche mascotte delle Olimpiadi, Neve e Gliz, state tranquilli. I pupazzoni sono sani e salvi e sono conservati insieme a Aster, la mascotte dei Giochi Paralimpici, nel parco Mennea, tra corso Rosselli e il passante ferroviario.
di Valentina Dirindin