Achille Lauro: quanto mi sarebbe piaciuto fare X Factor
Non è bastato il tentativo di Striscia la Notizia di sviare l'attenzione sull'argomento droga. Nonostante i servizi che si chiedevano (con un'insistenza anche un tantino fastidiosa) se Rolls Royce fosse in realtà il nome di una pasticca di Ecstasy, la canzone portata a Sanremo da Achille Lauro è stata uno dei maggiori successi di questa edizione.
Suonata in radio per mesi, disco d'oro nel giro di pochissime settimane, Rolls Royce è la presentazione al pubblico di un'artista, Achille Lauro, che ha la capacità di stupire.
Di stupire chi non lo conosce, innanzitutto. Con la sua faccia tatuata, lo stile appariscente e l'accento da romanaccio di periferia, da Lauro ti aspetti di tutto tranne che sia un ragazzo educato, pacato e incredibilmente gentile (“scusa se ti interrompo, Valentina”, ha detto un paio di volte LUI a ME durante l'intervista). In effetti, era sembrato un po' più peperino di così, per esempio quando aveva litigato con Antonella Elia durante l'edizione 2017 di Pechino Express (a cui aveva partecipato in coppia con il suo producer e inseparabile braccio destro Boss Doms). E invece Lauro ha stupito tutti, dimostrando di non essere per forza un “bad boy” già nelle diverse occasioni in cui ha parlato del suo brano dopo Sanremo, una su tutte nel salotto di Mara Venier subito dopo il Festival.
Ma Achille Lauro ha dalla sua anche l'incredibile capacità di stupire perfino chi lo conosce, portando alla luce progetti sempre diversi, strani, magari ostici a un primo ascolto ma che conquistano inevitabilmente chiunque ne abbia seguito un minimo il percorso. In cinque album (il primo nel 2014, l'ultimo, 1969, quest'anno) è passato dal rap alla trap, dall'elettronica alla samba, dal punk al rock di Rolls Royce, che a tanti ha ricordato un po' il Vasco Rossi dei primi tempi.
Insomma, un artista poliedrico, che forse ha trovato la chiave per piacere un po' a tutti.
Parliamo di 1969: un disco che sta andando molto bene, e che sembra essere il frutto di una svolta pop: è così?
“Sicuramente questo disco è una svolta per me, anche se non gli darei un'etichetta di questo tipo. Alla fine dentro 1969 puoi trovare tanti generi musicali, saranno almeno quindici, dal pop al rap, dal rock al punk, compresi i sound tipici degli anni Ottanta. Poi, è vero che un singolo come Rolls Royce è più pop, nel senso di orecchiabile e radiofonico, ma non vorrei limitarmi sotto una categoria: diciamo che con 1969 abbiamo trovato una chiave nostra, che ci identifica, una quadra particolarmente interessante di ciò che facciamo.”
Perché parla al plurale?
“Perché questo, come gli altri dischi, è frutto di un lavoro di gruppo. Innanzitutto con Boss Doms, ma non solo: lui è il mio braccio destro ma ho una piccola squadra di produttori. Ogni pezzo ha una sua storia, nasce in modo diverso. Rolls Royce è nato con una chitarra in mano, altre volte qualcuno porta una base strumentale, altre volte io porto un brano, e di lì si lavora in modo corale: il grande goal è confrontarsi e mettersi in gioco, sempre pronti a mettere in discussione chi sei e cosa hai fatto, in un gruppo di lavoro in cui ognuno può dire la propria. Il segreto è proprio il gioco di squadra.”
Prima il rap, poi un brano rock come Rolls Royce, poi una ballad romantica come C'est la vie. Chi è Achille Lauro?
“Mah, io penso che ci fosse un grande sbaglio in origine, quello di pensare che io fossi solo un rapper. Io mi sono affacciato alla scrittura prima ancora che alla musica, e sono partito con il rap perché era la cosa che in quel momento era più alla portata di tutti in termini di facilità e reperibilità. Il rap puoi farlo anche senza una band, senza strumentisti, ti bastano carta, penna e un pulsante su cui premere play. Però da lì in poi tutti i miei dischi hanno subito cambiamenti, c'è stato davvero un po' di tutto, siamo passati dal rap, alla musica ambient, alla trap contaminata con l'elettronica e la musica latino americana, arrivando poi al punk e al rock.”
Quindi come possiamo definirla?
“In nessun modo, sono fuori controllo!”
Quanto conta nel successo l'essere stati a Sanremo?
“Sanremo è sicuramente uno dei palchi più importanti d'Italia, un monumento per la cultura musicale italiana. È qualcosa che è lì da sempre, nell'immaginario di tutti: è come il Natale. Ho dei ricordi di tutta la famiglia riunita davanti alla tv a vedere il Festival, non credo esista qualcosa di così popolare nell'ambiente. Per noi Sanremo è stato un grande traguardo e un'enorme soddisfazione, così come lo è stato il palco del Primo Maggio. Cioè, capisci che io e Boss Doms un tempo lo smontavamo a fine concerto, il palco del Primo Maggio?”
Sì, con la differenza che il Primo Maggio sembra un contesto più adatto a voi, mentre a Sanremo apparivate un po' come outsider...
“Secondo me si sbaglia a dare un'accezione solo pop a Sanremo, che è il festival che mostra il panorama più ampio della musica italiana. Certo, in questa edizione Baglioni è stato bravo a prendere un po' di tutto quello che c'era sulla scena musicale italiana, comprese cose nuove e diverse come me, Mahmood o Motta e shakerare tutto insieme.”
Per essere un “bad boy” della scena underground e alternativa, non si può dire davvero che lei abbia un atteggiamento da snob. Lo dimostra, ad esempio, la sua amicizia con la star pop neomelodica Anna Tatangelo...
“Io penso che, in generale, la prima cosa che ci lega sia quello che facciamo entrambi, cioè la musica. Inoltre, io sono cresciuto nella periferia romana, dove il suo pezzo “Ragazza di periferia” è da sempre un mezzo culto. E poi, le contaminazioni sono il mezzo migliore per crescere: nel 2020, in un'epoca in cui è già stato fatto tutto, bisogna cercare di fare qualcosa di nuovo, di stupire, non per gli altri ma per se stessi.”
Nei suoi brani ci sono sempre tanti riferimenti all'arte pittorica (cita Rembrant, Van Gogh, eccetera): è un mondo che le piace?
“Io sono cresciuto con mio fratello in una comune di artisti, dove vivevo con ragazzi che suonavano (come il collettivo rap romano underground Quarto Blocco, ndr), ma anche che dipingevano. L'arte per me è sempre stata un grande punto di riferimento, così come lo sono stati 150mila generi musicali diversi. Sono una persona curiosa, tutto mi contamina, e tutte queste cose in passato hanno attecchito nella mia formazione.”
Voci insistenti la volevano giudice della prossima edizione di X Factor...
“Erano solo chiacchiere: tutti sapevano 'sta cosa e io ero l'unico a non saperne nulla. Sono stato da Mara (Maionchi, ndr) l'anno scorso e mi sono divertito molto, anche perché io faccio anche management, quindi quel lavoro assomiglia un po' al mio. Ad esempio, prendere un brano come Thoiry (un remix di grande successo, fatto da lui e da Boss Doms, ndr) è frutto di un lavoro di quel tipo. Abbiamo preso un artista emergente, poco conosciuto e siamo arrivati a fare 13 milioni di visualizzazioni su YouTube. In fondo, anche X Factor fa quello: arrivano ragazzi emergenti e sconosciuti e devono essere portati al successo.”
Quindi le piacerebbe?
“Certo che mi piacerebbe: è il mio lavoro di tutti i giorni, ma il mio primo lavoro è cantare.”