Cristiano Caccamo, chiedimi la luna
Cristiano Caccamo è una giovane promessa del cinema italiano: talentuoso, bellissimo, e da oggi anche scrittore. Gli abbiamo chiesto come si fa a fare tutto, e a farlo bene
di Valentina Dirindin
La prima cosa che possiamo dire di Cristiano Caccamo è che è bello. È vero: fermarsi all'aspetto fisico, giudicando un libro dalla sua copertina, è un atteggiamento che nessuno dovrebbe avere. Giovanissimo (classe 1989), alto, moro, fisicato, Cristiano Caccamo è alle prese con l'inizio di una carriera da attore, modello, scrittore che si preannuncia piena e brillante.
Per questo ci permettiamo di presentarlo dicendo quanto è bello: perché che è bravo lo sta già dimostrando, e non solo nel suo settore. Lui, che nasce attore (per il cinema, per la televisione, per le piattaforme on demand come Netflix) oggi va in giro per l'Italia a firmare le copie del suo primo libro, “Chiedimi la luna”, edito da Harper Collins. Una storia certamente originale, che parla di Aibek un ragazzo che fa un lavoro straordinario: accende e spegle la luna. “Un compito scrupoloso, fatto di centimetri, per spostare con uno spazzolone granelli di luce sull'esatta porzione da illuminare".
Un mestiere solitario, che smetterà di essere tale quando Aibek, spinto dalla curiosità, decide di fare un salto sulla terra , e conosce Adhara. È proprio durante una delle tappe del suo “firma copie” tour, quella al Torino Outlet Village, che incontriamo Cristiano Caccamo e, tra un giro di shopping e l'altro, lo intervistiamo, per chiedergli come sia nato questo nuovo progetto.
Cristiano, parlaci un po' di questo libro...
«Faccio tanta fatica a spiegarlo, quando invece dovrebbe essere la cosa più semplice! In realtà io volevo raccontare una fiaba: sono fissato con cartoni animati, con le storie di fantasia, e volevo raccontare una cosa che fosse fantastica ma reale. Così ho messo insieme due mondi: da un lato c'è lui, che per mestiere accende la luna; dall'altro invece c'è una persona comune che lavora al supermercato. Ma alla fine è una storia che parla di sentimenti: entrambi provano le stesse cose, ma hanno due concezioni del mondo e della vita molto diverse».
Quale voleva essere l'obiettivo del libro?
Divertire, emozionare, suscitare una riflessione? «In realtà non ho mai pensato a un obiettivo finale. Mi piaceva raccontare questa storia, ho iniziato a scriverla e da lì mi sono venute fuori delle cose, tant'è vero che ho cambiato spesso le carte in tavola. Io non volevo dare risposte, perché non le ho, ma aprire una riflessione sì: alla fine i due personaggi sono custodi di due verità opposte, ma entrambe sono verità».
Come è arrivata la voglia di buttarsi nella scrittura?
«La proposta è arrivata dalla casa editrice, non da me. Anzi, io all'inizio ero molto titubante perché penso che ci sia qualcuno che può fare questo lavoro molto meglio di me. Poi però mi è sembrata una bella possibilità e ho deciso di coglierla».
E non aveva mai scritto prima?
«Ho sempre scritto poesie, ma voglio ribadire che non sono uno scrittore. Sono solo un attore che è curioso di fare altre cose».
Poesie? Quindi è un romantico?
«Sì, ma non so se nel senso canonico della parola. Non amo i gesti romantici, non mi piacciono proprio. Penso che le cose romantiche debbano arrivare spontaneamente, senza essere costruite o calcolate. Anche nel libro, i personaggi sono romantici, ma non fanno gesti romantici».
Si dice spesso che i giovani non sono interessati alla lettura: è vero? E perché?
«È vero, e devo ammettere che neanche io sono un grandissimo lettore. Forse il motivo è che noi abbiamo accesso al veicolo televisivo, a milioni di piattaforme che sono molto facili e veloci, e piene di bellissimi prodotti. La verità è che non ho una grande risposta, perché alla fine io sono parte di questa generazione, quindi forse bisognerebbe chiederlo ai nostri genitori. Però è un dato di fatto che noi giovani leggiamo meno: nell'evoluzione si perdono cose se ne guadagnano altre, poi magari si riscopriranno in futuro».
Qual è l'ultimo libro che ha letto?
«Il libro di un amico, un attore anche lui, Marco Bonini, “Se ami qualcuno dillo”. Mi è piaciuto molto».
Quanto è importante l'immagine per avere successo oggi?
«È una componente che ti aiuta molto, ma non dura nel tempo. È molto immediata, ma poi bisogna essere bravi a sostenerla con altro. La bellezza è certamente un biglietto da visita importante, ma poi ci va della sostanza».
Uno dei suoi ultimi lavori è stato “Puoi baciare lo sposo”, storia di una coppia gay: si è fatto un'idea sull'accoglienza di un tema che nel 2020 è ancora oggetto di discussione?
«Noi quel film lo abbiamo anche portato nelle scuole, e ci è sembrato che i ragazzi lo vedessero esattamente con lo spirito che avevamo immaginato: noi volevamo raccontare semplicemente una storia d'amore, senza dare importanza se a interpretarla c'erano due uomini, due donne, un uomo e una donna. Era una storia d'amore e basta, e i giovani mi sembra l'abbiano vista proprio così. Forse sono più i loro genitori ad avere difficoltà sul tema».
Un altro è “Sotto il sole di Riccione”, distribuito da Netflix: che ne pensa della tv on demand e dei nuovi portali? Sostituiranno tv e cinema?
«Sicuramente si fanno meno film da quando sono nate le piattaforme, ma bisogna ammettere che hanno prodotti molto belli. Il loro merito, secondo me, è proprio questo: aver educato pubblico medio alla qualità, cosa che ora si pretende anche in televisione. Questo dovrebbe essere uno stimolo per tutti, anche per noi attori, a fare sempre meglio».
Cinema, tv, letteratura: qual è il suo mondo?
«Direi quello cinematografico, anche se ho ancora tanta strada da fare, ancora non so niente».
Be', sicuramente siamo all'inizio della sua carriera: cosa la colpisce della popolarità?
«Che la gente pensa di conoscerti. Sarà anche per i social, che mostrano immagini della mia vita quotidiana, ma mi parlano come se mi conoscessero da sempre: per strada magari mi chiamano “Cri”, come fossero degli amici di vecchia data».
Su Instagram in fondo è una piccola star, con quasi un milione di follower: qual è il suo rapporto con i social?
«Innanzitutto mi diverto, perché se non mi divertissi non li avrei. Mi stimola anche, mi piace creare contenuti. E poi è anche uno strumento di lavoro, una forma pubblicitaria molto diretta».
Oltre al libro, quali sono i suoi prossimi progetti?
«Ho finito di girare un film un paio di settimane fa, “Una famiglia mostruosa”, diretto da Volfango De Biasi. Non so bene quando uscirà al cinema, ma spero presto».