Gentileschi: ai Musei Reali due capolavori a confronto
Nell’ambito dei progetti di collaborazione con musei italiani e stranieri, i Musei Reali di Torino ospitano al primo piano della Galleria Sabauda, dal 7 settembre al 12 dicembre 2021, l’opera di Orazio Gentileschi Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo, in prestito dalla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. L’evento offre una straordinaria opportunità di un confronto diretto con l’Annunciazione, capolavoro dello stesso artista, celebre seguace di Caravaggio, custodito dai Musei Reali.
l confronto tra queste due opere di Orazio Gentileschi, uno dei pittori più acclamati a cavallo tra Cinquecento e Seicento, permette di accostarsi al suo metodo di lavoro,che consiste nel riutilizzo di cartoni o di lucidi per comporre singole figure o intere scene. Il volto di Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo, dipinto tra il 1615 e 1620 e proveniente dal monastero di San Francesco al Borgo di Todi dove fu ritrovato nel 1973, ritorna con attitudine simile in quello della Vergine nell’Annunciazione di Torino, donata dallo stesso artista al duca Carlo Emanuele I di Savoia nel 1623 e oggi esposta nella Galleria Sabauda.
Nella prima opera Cecilia, aristocratica romana che si convertì al cristianesimo e subì il martirio per decapitazione intorno al 230 d.C., ha il capo coronato di fiori, simbolo di castità, e sfiora con le dita la tastiera di una spinetta, accompagnando con la musica il tacito canto di preghiera, ispirato dalle note dello spartito offertole da un angelo. L’esistenza di un unico modello figurativo, reinterpretato con lievi varianti, è evidente dalla comparazione con l’Annunciazione. Una lettera inviata insieme al dono rivela la consapevolezza di Gentileschi dell’altissima qualità dell’opera e il suo desiderio di accattivarsi i favori del duca per essere chiamato al servizio della corte torinese, sottolineato
anche dalla scelta del soggetto, un vero e proprio omaggio ai Savoia, che si erano fregiati dell’ordine cavalleresco dell’Annunziata.
Nella tela di Perugia le figure emergono dall’oscurità, investite da una luce che esalta la definizione del disegno e accende i valori cromatici della veste rossa di Cecilia, della sua candida camicia e della tunica ocra dell’angelo; la regia si fa invece più complessa nella tela torinese, dove il chiarore naturale della luce divina penetra nella stanza, svelando i dettagli dell’ambiente domestico. Nella scelta compositiva, nel sapiente uso della luce e nell’utilizzo di una gamma cromatica elaborata e preziosa, Gentileschi riesce a coniugare con grande abilità l’impostazione arcaica, derivata dalla tradizione quattrocentesca fiorentina, con le novità del realismo caravaggesco e della lezione fiamminga, da Rubens a van Dyck.