ODIO E AMO TORINO: Blogger letterarie
Torino città letteraria, città di grandi scrittori e – così pare – anche di grandi lettori. Almeno nel periodo del Salone del libro, quando tutti i torinesi riscoprono il loro amore per la letteratura. Viva, quindi, le manifestazioni che ci avvicinano alla lettura, e viva chi sa dare a noi (lettori magari un po’ arrugginiti dalla mancanza di tempo, di voglia, di dedizione) i titoli migliori da leggere. È anche grazie a loro, le “blogger letterarie”, se possiamo evitare di perdere tempo con libri che tanto alla fine non ci piaceranno. Saranno anche capaci di consigliarci cose buone e meno buone della città in cui vivono? Da un lato Noemi Cuffia, blogger di “Tazzina di caffè” e scrittrice de “Il metodo della bomba atomica”. Dall’altro Natalia Ceravolo, blogger che racconta un po’ di sé e un po’ di quel che legge nel suo “Leggere parole Leggére”.
Noemi Cuffia
Amo Torino perché…
«Amo Torino non solo perché è la mia città ma perché sa essere la città degli altri. E lo insegna a poco a poco rendendosi più che può accogliente. La amo per il suo nucleo centrale – le vie squadrate che ti riportano sempre allo stesso punto – ma la amo anche perché ha imparato a farsi bella in periferia. Amo i suoi orti urbani e le sue case del quartiere dove senti il calore di un abbraccio. Amo anche la sua freddezza quando è il caso, nel senso che è una città che sa tenere i nervi saldi durante i problemi. Amo i suoi caffè storici e le piole, i suoi locali sempre uguali che sanno di tradizione e quelli che spuntano nuovi "come funghi" e sanno di futuro. Amo Mirafiori. Perché è dove sono nata e dove sono tornata a vivere. Amo San Salvario che si è trasformata come una farfalla. Amo i quartieri defilati: Cenisia, Rebaudengo. E le vie belle: via Roma, via Po. I salotti (piazza San Carlo, piazza Carlina) e i prati al limitare del confine Stupinigi. Amo le cittadine intorno che la amano a loro volta. E più di ogni altra cosa amo il fiume, sedersi alle sue sponde, tenere compagnia agli animali. Amo Torino perché sa cambiare e restare autentica».
Natalia Ceravolo
(Forse) Odio Torino perché…
«Intendiamoci, non la odio nel senso viscerale del termine. Qui ho trovato lavoro, uomo e figlio. Più o meno in quest’ordine. Però… Torinese, io ti ho visto. Ti ho visto in Calabria, in Sicilia, in Puglia. Mangiare. Mangiare dei cannoli lunghi 80 cm, pieni di crema, ricotta, cioccolato. Le briosce col gelato, giganti, ripiene, strabordanti. E allora, perché quando torni qui, dopo le vacanze estive, non lo dici pure tu, a una delle bellissime pasticcerie di qua che quelli che fanno loro, i mignon intendo, sono meravigliosi eh, delle opere d’arte, ma minchia ti fanno venire i nervi perché per appagarti ne devi mangiare minimo dodici? Dai su sabaudi, io vi conosco e vi voglio pure bene. Venivate da noi per le vacanze. Eravate i nostri amici dell’estate. Su. Poi magari è colpa mia, per carità. Poi. Lavoro qui dal 2007. Pago le tasse. Ho sposato un autoctono. Conosco i nomi di tutte le fermate del tram. E allora quando? Quando non sarò più, per voi, solo una “napuli”? Non che mi ferisca l’appellativo, intendiamoci. Io lo sarò per sempre. Nel senso che io qui sarò per sempre in una sorta di Erasmus. È solo per uno studio sociologico ecco. Grazie. Poi magari, è colpa mia, eh. La cosa che però più odio di te, Torino, è che per vedere i miei genitori devo prendere un aereo, che i loro occhi distano dai miei 1400 km. Che sono figlia della diaspora, che dovrei esserci abituata ma che ogni volta sale su il magone, che loro stanno dall’altra parte della transenna e io faccio finta di niente, saluto, ingoio e parto. Però ecco, questa veramente è solo colpa mia».