LIBRI: tre storie di animali (non per bambini)
di Marta Ciccolari Micaldi
Chi l’ha detto che le storie di animali vanno bene solo per ragazzi e bambini? Esistono personaggi memorabili che, nelle loro sembianze animalesche, offrono a noi adulti un’occasione unica per pensare a chi siamo. Come individui e come umani, soprattutto.
Paradisi minori
Megan Mayhew Bergman
Giovane scrittrice americana, nei suoi racconti - quasi tutti ambientati nel Sud degli Stati Uniti - imbastisce relazioni, crisi di identità, rivelazioni e scoperte grazie all’aiuto di grandi e piccoli animali. In particolare, sono i personaggi femminili a entrare in relazione con loro: una donna fa di tutto per andare a trovare il pappagallo che era appartenuto alla madre per sentire un’ultima volta la sua voce, un’altra si prende cura dei suoi aye-aye molto più di quanto non riesca a fare con i proprio figli, un’altra ancora si paragona a un gatto cieco per riuscire ad affrontare il suo compagno. È l’autrice stessa a desiderare che il suo legame particolare con gli animali traspaia in ogni pagina: dopo aver vissuto in città per la sua giovinezza, oggi Megan vive (e scrive) in compagnia di un’intera fattoria nel Rhode Island.
Il cinghiale che uccise Liberty Valance
Giordano Meacci
Uno dei romanzi più acclamati del 2016 (fu finalista al Premio Strega), rimasto d’intaccato valore ancora oggi, Il cinghiale che uccise Liberty Valance riprende una vecchia storia, quella dell’animale che smette di essere solo animale e diventa “troppo umano per essere del tutto compreso dai suoi simili e troppo bestia per non essere temuto dagli umani”. Ambientato in un paesino qualsiasi tra Umbria e Toscana a cavallo dei due secoli, e precisamente tra il 1999 e il 2000, la storia racconta un’Italia di artigiani e contadini - un’Italia felliniana, in parte - che, a un certo punto, viene visitata da un cinghiale in grado di leggere i loro sentimenti. E di farlo con un linguaggio tutto suo - o, meglio, della sua specie, di cui viene anche riportato fedelmente un glossario - che arriva a sfiorare anche il mistero più grande di tutti, per uomini e animali allo stesso modo: la morte, e l’amore che la sfida.
Io sono un gatto
Natsume Sōseki
Una storia che ha ben più di un secolo (è stata pubblicata per la prima volta nel 1905) e arriva da molto lontano, precisamente da una famiglia abbiente del Giappone al tempo dei Meiji, in cui un giorno spunta un cucciolo di gatto: nessuno se ne prende cura o se ne affeziona tanto da dargli un nome, eppure a turno tutti i membri - padre, madre, tre figlie e una serva - lo nutrono e talvolta lo accarezzano. Tanto basta a Senza Nome per sentirsi il vero padrone di casa e iniziare una riflessione molto dotta e quasi zen (senz’altro ironica, in primis) sulle vicende che riguardano gli umani. Proprio quegli umani, la famiglia del professor Kushami e i suoi amici, impegnati in dissertazioni di filosofia, poi matrimoni combinati, poi sedute di pittura. Unendo la sua conoscenza animalesca all’osservazione del comportamento umano, Senza Nome offre al lettore uno specchio da cui guardare alla sua realtà e, speriamo, sorriderne.